venerdì 19 ottobre 2012

Tassa rifiuti, scopri se ti spetta il rimborso dell'Iva

L'Iva non deve essere applicata sulla tassa rifiuti. Lo hanno stabilito la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione. Sei interessato alla possibilità di ottenere il rimborso solo se il tuo Comune applica la Tia (Tariffa di igiene ambientale). Se invece paghi la Tarsu, non ti viene applicata l'Iva. Verifica qui la tua situazione. clicca qui

lunedì 8 ottobre 2012

Ristrutturazioni in casa: non sempre serve il permesso di costruire



 

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 37713/2012 del 1 ottobre 2012
Per la maggior parte delle ristrutturazioni interne non serve il permesso di costruire. In particolare,non è necessario per gli interventi edilizi di redistribuzione degli spazi interni della casa, chenon implicano aumenti del volume, delle altezze o della superficie calpestabile. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 37713/2012 del 1 ottobre 2012, accogliendo il ricorso di un cittadino condannato dalla Corte di appello di Lecce per abuso edilizio, avendo eseguito lavori in zona sottoposta a vincolo paesaggistico senza possedere il permesso di costruzione.

Nel caso specifico, il cittadino aveva eseguito in un edificio esistente dei lavori di redistribuzione dei vani interni, creando all’interno del fabbricato stanze e strutture ex novo. Secondo il Tribunale ordinario e la Corte d’Appello era necessario il permesso di costruire, anche poiché – a detta dei due tribunali - i lavori avevano comportato un aumento della volumetria, facendo in modo che all’interno del fabbricato si verificasse un intervento di nuova costruzione.

Diverso il parere della Cassazione, che ha accertato che il ricorrente aveva fatto interventi di vario tipo ma tutti esauritisi all’interno del fabbricato, senza alcun ampliamento del perimetro esterno, senza mutazione d’uso dell’unità immobiliare, né aumenti volumetrici o aumenti del numero di unità immobiliari autonomi, lasciando inalterata la superficie inziale dell’immobile. Pertanto, la Cassazione ha considerato l’intervento come una ristrutturazione leggera, per la quale è sufficiente la Dia (Denuncia di inizio attività).

RESPONSABILITA' DA COSE IN CUSTODIA: La caduta sul pavimento bagnato del reparto del supermercato






Sussiste la responsabilità del supermercato, nella persona del l.r., ai sensi dell'art. 2051 c.c., in relazione alla caduta sul pavimento bagnato del reparto frutta e verdura, nella quale sia incorsa parte attrice, ed alle conseguenze invalidanti dalla medesima subite. In tema di danni da cosa in custodia, non assume alcuna rilevanza il comportamento del custode essendo, il fondamento della responsabilità, il rischio gravante sul custode, per i danni prodotti dalla cosa che non dipendano dal caso fortuito.



Nel caso di specie non risulta dedotto né provato, da parte del convenuto, alcun caso fortuito idoneo ad interrompere la serie causale che ha determinato il verificarsi dell'evento lesivo, essendo provato per testimoni ed accertato con consulenza tecnica il nesso di causalità tra il pavimento in custodia del convenuto e le lesioni subite da parte attrice.



Ne deriva l'affermazione del diritto del danneggiato a veder risarcito il danno patrimoniale e non, dovendosi ricomprendere quest'ultimo quale categoria generale ed unitaria, non suddivisibile in sottocategorie, comprensiva del danno all'integrità psicofisica e di tutti i pregiudizi non direttamente incidenti su fonti di reddito del soggetto leso o comunque non connotati da rilevanza economica ma comunque idonei ad alterare capacità, abitudini ed aspetti relazionali dello stesso costringendolo a scelte di vita diverse. Tribunale di Trento, Sen. n. 726 del 01 agosto 2012

giovedì 6 settembre 2012

NOTIFICA DI ATTI DI ACCERTAMENTO NULLA SENZA L’AVVISO DI RICEVIMENTO


L’avviso di accertamento divenuto definitivo perché non impugnato dal contribuente non può ritenersi notificato, nel caso di contenzioso con l’Amministrazione finanziaria, se il contribuente lamenta di non averlo mai ricevuto e l’agenzia delle Entrate non è in grado di esibire in giudizio una cartolina che attesti il ricevimento dell’atto notificato.

La notifica a mezzo posta, infatti, si prova al giudice solo mediante l’avviso di ricevimento della raccomandata e non con altri mezzi.

giovedì 2 agosto 2012

FONDO DI CREDITO PER I NUOVI NATI


Il Fondo di credito per i nuovi nati continua a costituire una forma di sostegno alla genitorialità sino all'anno 2014. 
La Legge di stabilità 2012 (art.12) ha infatti prorogato per gli anni 2012, 2013 e 2014 tale misura nata nel 2009 e concessa a tutti coloro che si vengano a trovare nella situazione prevista dalla norma, indipendentemente dal reddito e dalle motivazioni sottese alla richiesta.
Si tratta di uno strumento, rivolto ai genitori di figli nati o adottati durante gli anni sopra indicati, che consente di  richiedere un prestito a tasso agevolato, di un massimo di 5000 euro, presso le banche che hanno aderito all'iniziativa governativa.
Il Fondo di credito per i nuovi nati, fondato sul presupposto che l'arrivo in famiglia di un figlio comporta nuovi oneri e nuove spese, fornisce un aiuto concreto alle famiglie italiane, rappresentando, allo stesso tempo, una effettiva agevolazione in un momento particolarmente storico critico da un punto di vista socio-economico

venerdì 6 luglio 2012

FRASI

Vivi ogni giorno della tua vita come se fosse l' ultimo. Seneca 

La scelta della scuola della figlia spetta ad entrambi i coniugi nell'affidamento condiviso


I genitori devono previamente condividere la scelta delle spese straordinarie per i figli (Cass. sent.n° 10174/2012)
Ribadisce la prima sezione della Corte di Cassazione, con sentenza 20 giugno 2012, n. 10174, che la nuova formulazione dell'art. 155 cod. civ. nel ribadire la necessità che le decisioni di maggior interesse siano prese di comune accordo tra i genitori, inquadra tale esigenza in una disciplina improntata alla riaffermazione dei principio di pari responsabilità di questi ultimi nella cura, nell'educazione e nell'istruzione dei figli. Tale principio, valido anche per l'ipotesi in cui il giudice ritenga preferibile l'affidamento esclusivo, non può non ricevere un'applicazione particolarmente rigorosa nel caso di affidamento congiunto o condiviso, riducendosi altrimenti l'apporto di uno dei genitori ad una mera erogazione di denaro. Dunque nell'affidamento condiviso: la scelta della scuola della figlia spetta ad entrambi i coniugi
La sentenza 
Cassazione 20 giugno 2012, n. 10174: i genitori devono previamente condividere la scelta delle spese straordinarie per i figli


Cassazione 20 giugno 2012, n. 10174
Svolgimento del processo
1. — Con sentenza del 24 marzo 2005, il Tribunale di Aosta revocò il decreto ingiuntivo emesso il 23 febbraio 2001 nei confronti di .. , e condannò quest'ultimo al pagamento in favore di .. della somma di Euro 7.176,22, oltre interessi legali, a titolo di rimborso delle spese scolastiche sostenute per la figlia minore S. , nonché al pagamento delle spese processuali, ivi comprese quelle del procedimento monitorio. 2. — L'impugnazione proposta dal C. è stata parzialmente accolta dalla Corte d'Appello di Torino, che con sentenza del 19 dicembre 2007 ha condannato la I. al pagamento delle spese del procedimento monitorio, disponendo la restituzione dell'importo corrisposto a tale titolo dall'appellante, oltre interessi legali, confermando per il resto la sentenza impugnata, e condannando il C. al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
Premesso che con sentenza del 31 maggio 1989 il Tribunale di Torino, nel pronunciare il divorzio tra le parti, aveva disposto l'affidamento congiunto della figlia ad entrambi i genitori, ponendo a carico del .. un assegno mensile di Lire 200.000 a titolo di contributo per il mantenimento, l'educazione e l'istruzione della minore, nonché l'obbligo di provvedere a tutte le spese di abbigliamento, medico-dentistiche e scolastiche, senza imporre a tal fine alcun previo concerto tra i genitori, la Corte ha rilevato che l'appellante non aveva fornito alcuna prova della sua contrarietà alle scelte scolastiche compiute dalla figlia, che aveva deciso di frequentare un istituto privato, essendo emerso soltanto il suo disappunto, mai concretizzatosi in un effettivo contrasto o nel ricorso al giudice.
Preso atto, inoltre, dell'avvenuta revoca del decreto ingiuntivo, dovuta al riconoscimento soltanto parziale della somma richiesta nel procedimento monitorio. la Corte ha ritenuto che le relative spese dovessero restare a carico della I. , condannandola a restituire l'importo pagato a tale titolo dal ... in esecuzione della sentenza di primo grado.
3. — Avverso la predetta sentenza il C. propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. La I. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. — Con il primo motivo d'impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 147, 148, 155, 316, 317, 1362, 2697 e 2909 cod. civ., degli artt. 112, 113, 115, 116 e 324 cod. proc. civ. e dell'art. 6 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, osservando che a fondamento della decisione la Corte d'Appello si è limitata a richiamare il principio, non pertinente, secondo cui l'affidamento congiunto non implica l'obbligo di entrambi i genitori di contribuire in misura paritaria al mantenimento del figlio, senza considerare che le decisioni di maggiore importanza, tra le quali va indubbiamente annoverata la scelta del tipo di scuola, debbono essere assunte di comune accordo tra i genitori. La sentenza impugnata ha omesso di pronunciare in ordine all'interpretazione della sentenza di divorzio, nella parte in cui poneva le spese scolastiche “direttamente” a carico del padre, conformemente all'accordo raggiunto tra le parti, astenendosi dall'indagare la comune intenzione di queste ultime e trascurando il loro comportamento successivo; essa ha ritenuto invece decisiva la mancata prova del suo disaccordo in ordine alla scelta della figlia, senza tener conto che egli ne era stato informato da quest'ultima, anziché dalla moglie, e senza neppure spiegare il motivo per cui le spese dovevano essergli addebitate per intero, anziché per la metà.
1.1. — Il motivo è fondato.
Com'è noto, il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si configura come un ordinario giudizio di cognizione, avente ad oggetto l'accertamento non soltanto della sussistenza dei requisiti di ammissibilità e validità del procedimento monitorio, ma anche della fondatezza della pretesa avanzata dal ricorrente, in ordine alla quale trovano applicazione le regole generali in tema di ripartizione dell'onere della prova; l'emissione del decreto ingiuntivo non determina infatti alcuna inversione nella posizione processuale delle parti, con la conseguenza che il ricorrente, pur assumendo formalmente la veste di convenuto, dev'essere considerato attore in senso sostanziale, ed è pertanto tenuto a fornire la prova dei fatti costitutivi del credito fatto valere nel procedimento monitorio (cfr. tra le altre, Cass., Sez. 3, 17 2 novembre 2003, n. 17371; 3 marzo 1994, n. 2124; Cass., Sez. lav., 17 novembre 1997, n. 11417). Tale credito nella specie ha ad oggetto le spese sostenute dalla I. per gli studi scolastici della figlia minore con lei convivente, al cui rimborso il C. sarebbe tenuto in virtù della sentenza di divorzio pronunciata tra le parti, con cui, nel disporsi l'affidamento congiunto della figlia ad entrambi i genitori, fu posto a carico del ricorrente, oltre all'obbligo di versare un assegno mensile per il mantenimento della minore, quello di sostenere direttamente e per intero le spese di abbigliamento, medico-dentistiche e scolastiche necessarie per la stessa. L'individuazione del contenuto e delle modalità di adempimento di tale obbligazione postula pertanto la ricostruzione della disciplina dei rapporti intercorrenti tra le parti relativamente all'affidamento della prole, cosi come consacrata nella sentenza di divorzio, la cui efficacia di giudicato, sia pure rebus sic stantibus, se da un lato impedisce di rimettere in discussione l'assetto d'interessi emergente dal titolo posto a fondamento della pretesa, dall'altro non esclude la possibilità di verificarne la portata ed i limiti, attraverso l'interpretazione delle condizioni da essa stabilite. 1.2. — Non merita consenso, al riguardo, la tesi sostenuta dal ricorrente, secondo cui, avendo la predetta sentenza recepito il contenuto dell'accordo intervenuto tra i coniugi nel corso del giudizio, tale operazione ricostruttiva andrebbe condotta in base ai criteri stabiliti dall'art. 1362 cod. civ., astenendosi dunque da un esclusivo riferimento al senso letterale delle espressioni usate, ed indagando invece la comune intenzione delle parti, anche alla luce del comportamento dalle stesse tenuto successivamente alla conclusione dell'accordo. La circostanza che, ai fini della disciplina dei rapporti tra i coniugi e di quelli con la figlia minore, la sentenza abbia tenuto conto delle concordi indicazioni delle parti, non consente infatti di attribuire natura negoziale alle condizioni in essa stabilite, il cui recepimento costituisce il risultato di un'autonoma valutazione giudiziale, soprattutto nella parte avente ad oggetto l'affidamento della figlia e la determinazione del contributo dovuto per il suo mantenimento, in ordine ai quali le richieste dei genitori non assumono carattere vincolante, dovendo il Tribunale ispirarsi, nelle relative scelte, all'esclusivo interesse della prole (cfr. Cass., Sez. 1, 17 settembre 1992. n. 10659; 11 ottobre 1978, n. 4519). La natura del giudicato, quale regola del caso concreto, comportandone l'assimilabilità agli elementi normativi della fattispecie, esclude peraltro la possibilità di ricorrere, ai fini della sua interpretazione, ai criteri ermeneutici dettati per le manifestazioni di volontà negoziale, trovando invece applicazione, in via analogica, i principi dettati dall'art. 12 disp. prel. cod. civ., e dovendosi quindi procedere alla ricostruzione del comando oggettivato nella sentenza attraverso l'integrazione del dispositivo con la motivazione che lo sostiene, avendo riguardo, ove residuino incertezze interpretative, anche alle domande proposte dalle parti, nonché alle risultanze degli atti processuali (cfr. Cass., Sez. Un., 9 maggio 2008, n. 11501: Cass., Sez. 2, 27 ottobre 2010, n. 21961; 18 gennaio 2007. n. 1093; Cass., Sez. 1, 7 febbraio 2007, n. 2721). Trattandosi dell'interpretazione di una regula juris, il risultato di tale operazione è censurabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione di legge, la cui deduzione consente a questa Corte di procedere direttamente all'individuazione della portata e dei limiti del predetto comando, indipendentemente dall'interpretazione fornita dal giudice di merito, orientando la sua esegesi anche alla luce della disciplina normativa del rapporto, che costituisce pur sempre il quadro di riferimento tenuto presente dal giudicante (cfr. Cass.. Sez. Un., 28 novembre 2007, n. 24664; Cass., Sez. 1, 5 ottobre 2009. n. 21200). 1.3. — In quest'ottica, non può non sottolinearsi come nella specie l'obbligo di contribuire alle spese necessarie per l'abbigliamento, l'istruzione e le cure mediche della figlia sia stato previsto in correlazione con l'affidamento congiunto della stessa ad entrambi i genitori, in tal modo instaurandosi tra questi ultimi un regime di necessaria condivisione delle scelte relative all'accudimento ed all'educazione della minore, che va oltre la mera imposizione dell'obbligo di concordare le decisioni di maggior interesse, previsto dall'art. 6, quarto comma, della legge n. 898 del 1970 in riferimento all'ipotesi in cui i figli siano affidati ad uno solo dei genitori, con la connessa attribuzione di un diritto-dovere di vigilanza al genitore non affidatario. Non appare tuttavia risolutivo, ai fini della ricostruzione della disciplina applicabile alla fattispecie in esame, il richiamo, contenuto nella sentenza impugnata, al principio enunciato in una pronuncia di questa Corte, secondo cui l'affidamento congiunto, in quanto fondato sull'esclusivo interesse del minore dal punto di vista del suo sviluppo e del suo equilibrio psico-fisico, anche in considerazione di situazioni socio-ambientali, nonché del perpetuarsi dello schema educativo già sperimentato durante il matrimonio, non comporta, come conseguenza automatica, che ciascuno dei genitori provveda, in modo diretto ed autonomo, ai bisogni dei figli, in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza, e non esclude pertanto l'obbligo del versamento di un contributo a favore del genitore con cui i figli convivano (cfr. Cass.. Sez. 1, 18 agosto 2006, n. 18187). Tale obbligo nella specie non era in contestazione, avuto riguardo al chiaro tenore della sentenza di divorzio, che, come si è detto, poneva a carico del ricorrente l'obbligo di corrispondere un assegno mensile di mantenimento, nonché di provvedere direttamente e per intero alle spese necessarie per l'abbigliamento, l'istruzione e le cure 3

mediche necessarie per la figlia; ciò di cui si discuteva erano invece le modalità di adempimento del contributo, avendo il C. sostenuto che le spese di cui la I. aveva chiesto il rimborso costituivano il risultato di una scelta alla quale egli non era stato posto in grado di partecipare, non essendo stato preventivamente consultato in ordine alla decisione di iscrivere la figlia ad un istituto scolastico privato, anziché a quello pubblico fino ad allora frequentato.
Nell'esaminare quest'eccezione, la Corte territoriale non ha tenuto conto che l'affidamento congiunto comporta l'assunzione di uguali poteri e responsabilità da parte dei genitori, ai fini dello sviluppo psico-fisico del figlio e della sua formazione morale e culturale, richiedendo a ciascuno di essi un personale impegno nella realizzazione di un progetto educativo comune, la cui elaborazione non può risolversi nella passiva acquiescenza di un genitore alle scelte unilateralmente compiute dall'altro, ma esige una costante e preventiva consultazione reciproca, volta ad una sollecita percezione delle necessità del minore e all'identificazione dei mezzi più convenienti per farvi fronte. In questo contesto, la previsione dell'obbligo di provvedere alle spese necessarie per certi bisogni, non determinati né preventivamente determinabili sotto il profilo quantitativo, non può assumere altro significato che quello di un rinvio della relativa quantificazione alla concorde determinazione di assicurare la soddisfazione di tali necessità e all'individuazione delle risorse da destinarvi, conformemente alle finalità educative perseguite. È solo in questo modo, d'altronde, che può essere assicurata quell'effettiva compartecipazione alle scelte riguardanti la crescita e la formazione del figlio in cui si sostanzia la c.d. bigenitorialità, quale principio solennemente affermato a livello internazionale dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e ratificata con legge 27 maggio 1991, n. 176, che ha trovato attuazione in materia di separazione e divorzio attraverso la legge 8 febbraio 2006, n. 54, la quale ha modificato l'art. 155 cod. civ., introducendo l'istituto dell'affidamento condiviso. L'inapplicabilità della relativa disciplina alla fattispecie in esame, tuttora regolata da una sentenza emessa in data anteriore all'entrata in vigore della predetta legge, non esclude la possibilità di desumerne elementi utili ai fini dell'interpretazione della normativa previgente, in una prospettiva evolutiva che tenga conto dell'indubbia comunanza di aspetti riscontrabile tra l'affidamento congiunto e quello condiviso. Significativa, al riguardo, appare la nuova formulazione dell'art. 155 cit., la quale, nel ribadire la necessità che le decisioni di maggior interesse siano prese di comune accordo tra i genitori, inquadra tale esigenza in una disciplina improntata alla riaffermazione dei principio di pari responsabilità di questi ultimi nella cura, nell'educazione e nell'istruzione dei figli. Tale principio, valido anche per l'ipotesi in cui il giudice ritenga preferibile l'affidamento esclusivo, non può non ricevere un'applicazione particolarmente rigorosa nel caso di affidamento congiunto o condiviso, riducendosi altrimenti l'apporto di uno dei genitori ad una mera erogazione di denaro, svincolata da qualsiasi contributo di carattere decisionale, in contrasto con gli obiettivi di responsabilizzazione di entrambe le figure genitoriali avuti di mira dal legislatore attraverso la previsione di queste forme di affidamento.
1.4. — Tale prescritto coinvolgimento fa apparire inadeguata la motivazione addotta dalla Corte d'Appello a sostegno dell'affermato obbligo del C. di provvedere alle spese scolastiche conseguenti all'iscrizione della figlia presso l'istituto privato, non potendo ritenersi sufficiente, ai fini della condivisione della scelta compiuta dalla I. , il consenso postumo ravvisato dalla sentenza impugnata nella mancata adozione da parte del ricorrente di specifiche iniziative, anche giudiziarie, volte a contrastare la predetta decisione. È pur vero che questa Corte, nell'includere la scelta dell'indirizzo scolastico tra le decisioni di maggior interesse per i figli, in ordine alle quali l'art. 6, quarto comma, della legge n. 898 del 1970, cosi come l'art. 155, terzo comma, cod. civ., richiede il concorso di entrambi i genitori, ha escluso che a carico del genitore convivente sia configurarle uno specifico dovere d'informazione, ravvisabile unicamente in presenza di eventi eccezionali ed imprevedibili, affermando che ciascun genitore è titolare di un autonomo potere di attivarsi nei confronti dell'altro per concordarne eventuali modalità, ed in difetto di ricorrere all'autorità giudiziaria (cfr. Cass., Sez. 1, 27 aprile 2011, n. 9376; 28 gennaio 2009, n. 2182). Questo principio, enunciato in riferimento all'ipotesi di affidamento esclusivo, trova peraltro giustificazione nella disciplina di tale istituto dettata dall'art. 155 cit., nel testo introdotto dalla legge 19 maggio 1975, n. 151, che, in quanto articolata sulla previsione dell'esercizio esclusivo della potestà da parte del genitore affidatario e sul riconoscimento in favore dell'altro genitore di un diritto-dovere di vigilanza sull'istruzione e l'educazione dei figli (e per tale aspetto superata dalle ulteriori modifiche introdotte nell'art. 155 dalla legge n. 54 del 2006. che prevede l'esercizio della potestà da parte di entrambi i genitori, senza distinguere tra affidamento esclusivo ed affidamento condiviso), ha consentito di ravvisare nella mancata tempestiva adduzione di validi motivi di dissenso da parte di quest'ultimo una forma di acquiescenza alla decisione unilateralmente assunta dal primo (cfr. Cass.. Sez. 1, 29 maggio 1999, n. 5262). Esso non è quindi applicabile all'ipotesi di affidamento congiunto, che, oltre ad implicare l'esercizio della potestà da parte di entrambi i genitori, presuppone un'attiva collaborazione degli stessi 4

nell'elaborazione e la realizzazione del progetto educativo comune, imponendo pertanto, nell'accertamento della paternità delle singole decisioni, quanto meno di quelle più importanti, la verifica che le stesse sono state assunte sulla base di effettive consultazioni tra i genitori, e quindi con il consapevole contributo di ciascuno di essi.
1.5. — Non spettava d'altronde al C. l'onere di fornire la prova del proprio dissenso dalla decisione assunta dalla I. , essendo quest'ultima tenuta, in qualità di attrice in senso sostanziale, a dimostrare la sussistenza dei presupposti per l'accoglimento della domanda di rimborso delle spese anticipate, non determinandosi, per effetto dell'obbligo sancito dalla sentenza di divorzio, alcuna inversione dell'onere probatorio, e restando quindi a carico della controricorrente la prova di aver provveduto a consultare preventivamente l'ex-coniuge, al fine di ottenerne il consenso all'iscrizione della figlia presso l'istituto privato.
2. — Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui non ha tenuto conto della circostanza che all'epoca dello scioglimento del matrimonio e nei dieci anni successivi la minore aveva sempre frequentato la scuola pubblica, ed ha ritenuto che egli avesse prestato il proprio consenso alla scelta della figlia, senza verificare se la moglie lo avesse preventivamente informato e consultato.
2.1. — La censura è inammissibile, non essendo corredata da una sintesi conclusiva, recante la chiara indicazione dei fatti controversi e delle ragioni per cui si afferma l'inidoneità della motivazione a reggere la decisione adottata.
La necessità di una distinta individuazione del fatto controverso e delle ragioni dell'inadeguatezza della motivazione, ove la sentenza sia impugnata ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., è infatti connessa ad un'esigenza di chiarezza, emergente dall'art. 366-bis cod. proc. civ., la quale impone, nella formulazione del motivo, un distinto momento di sintesi (omologo del quesito di diritto prescritto per l'ipotesi in cui la sentenza sia impugnata ai sensi dell'art. 360 n. 3) che circoscriva puntualmente i limiti della critica alla motivazione in fatto, in modo da non ingenerare incertezze in sede di valutazione della sua ammissibilità (cfr. Cass.; Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass., Sez. 3, 18 luglio 2007. n. 16002). 3. — È invece infondato il terzo motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 91, 115 e 116 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui lo ha condannato nuovamente al pagamento delle spese del giudizio di primo grado, da lui già corrisposte in esecuzione della sentenza del Tribunale di Aosta.
3.1. — La riforma, totale o parziale, della sentenza di primo grado, nella parte riguardante il merito della controversia, comporta infatti, ai sensi dell'art. 336, primo comma, cod. proc. civ., l'automatica caducazione della stessa anche nel capo avente ad oggetto il regolamento delle spese processuali, imponendo al giudice di appello di procedere, anche d'ufficio, ad una rinnovazione della relativa pronuncia (cfr. Cass., Sez. 3, 5 giugno 2007, n. 13059; Cass.. Sez. 1, 16 maggio 2006, n. 11491; Cass., Sez. lav., 18 luglio 2005. n. 15112). Tale rinnovazione deve aver luogo in base ad una valutazione dell'esito complessivo della lite, in conseguenza della quale il giudice di secondo grado può ben pervenire, com'è accaduto nella specie, anche ad una decisione identica a quella risultante dalla sentenza riformata, senza che ciò comporti una duplicazione di titoli, avuto riguardo all'intervenuta caducazione della prima pronuncia, e dovendosi anzi ritenere che, ove nella mancata adozione di una nuova statuizione non possa ravvisarsi un'implicita conferma di quella di primo grado, il pagamento eventualmente già effettuato dalla parte soccombente resterebbe privo di causa giustificatrice.
4. — La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dal motivo accolto, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d'Appello di Torino, la quale provvederà, in diversa composizione, anche alla liquidazione delle spese relative al giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara inammissibile il secondo, rigetta il terzo, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di Appello di Torino, anche per la liquidazione delle spese processuali.

martedì 3 luglio 2012

FRASE


Cassazione civile , sez. I, sentenza 01.06.2012 n° 8862




La violazione di obblighi nascenti dal matrimonio se da un lato giustifica la pronuncia di addebito a carico di un coniuge, dall’altro può configurare un comportamento che, incidendo su beni essenziali della vita, può produrre un danno ingiusto con conseguente diritto anche al risarcimento del danno morale.
Infatti la responsabilità tra coniugi, o del genitore nei confronti del figlio, non si fonda sulla mera violazione dei doveri matrimoniali o di quelli derivanti dal rapporto di genitorialità, ma sulla lesione, a seguito dell’avvenuta violazione di tali doveri, di beni inerenti la persona umana, come la salute, la privacy, i rapporti relazionali, etc.
Ne consegue che la violazione dell'obbligo di fedeltà di un coniuge può dare diritto all'altro ad equo risarcimento del danno, considerate le incidenze di tale comportamento sulla salute, la privacy e la reputazione dell'altra parte Cassazione civile , sez. I, sentenza 01.06.2012 n° 8862

venerdì 29 giugno 2012

UGUAGLIANZA DEI FIGLI ANCHE IN SEDE DI COMPETENZA" - Cass. 9770/2012


Confermato "l'orientamento giurisprudenziale della Corte (Cass. civ. n. 23032 del 30 ottobre 2009) secondo cui in tema di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio, la legge n. 54 del 2006, dichiarando applicabili ai relativi procedimenti le regole da essa introdotte per quelli in materia di separazione e divorzio, esprime, per tale aspetto, un'evidente assimilazione della posizione dei figli di genitori non coniugati a quella dei figli nati nel matrimonio, in tal modo conferendo una definitiva autonomia al procedimento di cui all'art. 317-bis cod. civ. rispetto a quelli di cui agli artt. 330, 333 e 336 cod. civ., ed avvicinandolo a quelli in materia di separazione e divorzio con figli minori, senza che assuma alcun rilievo la forma del rito camerale, previsto, anche in relazione a controversie oggettivamente contenziose, per ragioni di celerità e snellezza: ne consegue che, nel regime di cui alla legge n. 54 cit., sono impugnabili con il ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., i provvedimenti emessi dalla corte d'appello, sezione per i minorenni, in sede di reclamo avverso i provvedimenti adottati ai sensi dell'art. 317-bis relativamente all’affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio ed alle conseguenti statuizioni economiche, ivi compresa l'assegnazione della casa familiare".

L’ADOTTABILITÀ NON È VINCOLATA ALLA PROVA DEL DANNO” – Cass. 9945/201



Ancora un’occasione di leggere la vita, sia pure tra le maglie strette della Cassazione.
Origine del provvedimento della Corte di Cassazione è nella contestazione della dichiarazione dello stato di adottabilità della propria figlia oggetto di reclamo in Appello.
Esaminando gli elementi di fatto che si colgono dalla descrizione della fattispecie: La madre ha  “condizioni personali che richiedono un costante supporto esterno”; al suo fianco vi è un signore che “non è neanche il padre naturale della bambina”.
La Corte territoriale conferma il provvedimento di primo grado ritenendo per la madre “risolutivo quanto accertato dai consulenti sulla sua inadeguatezza a svolgere un ruolo genitoriale continuativo e capace di sostenere una crescita equilibrata e serena della minore”. La valutazione è basata“sulla prognosi negativa dei consulenti circa la possibilità di evoluzione della capacità genitoriale”.
La difesa, ricorre in Cassazione sul presupposto diritto del minore a crescere nella propria famiglia  (Legge 149/01)  e contestando nello specifico che la valutazione messa a fondamento dello stato di adottabilità non può “discendere da un mero apprezzamento circa la inidoneità dei genitori a cui non si accompagni l'ulteriore positivo accertamento che tale inidoneità abbia provocato o possa provocare danni gravi e irreversibili all'equilibrata crescita”.
I giudici di legittimità ritengono “pregnanti e sofferte considerazioni della Corte di appello, argomentatamente fondate sulla condizione estremamente difficile della D.F. - che la stessa difesa dei ricorrenti correttamente riconosce”.
Qualche osservazione va fatta, rispetto ad una situazione tanto sofferta e complessa quanto giuridicamente semplificata: il parallelismo tra le argomentazioni della difesa ed i principi posti alla base della declaratoria di decadenza (art. 330 c.c.).....................

lunedì 25 giugno 2012

QUANDO POSSO AVVALERMI DEL GRATUITO PATROCINIO

ART. 24 DELLA COSTITUZIONE  
Articolo 24

Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi [cfr. art. 113].

La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.

Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.

La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.


Questo comporta che il nostro ordinamento mette a disposizione del cittadino meno abbienti strumenti atti a poter realizzare una adeguata tutela a questo riguardo potete visionare la relativa guida 

GRATUITO PATROCINIO


Il gratuito patrocinio non copre le spese dovute alla controparte se si perde la causa.

Cassazione civile, sez. VI, Ord. 16 maggio 2012, n. 10053


L’ammissione al gratuito patrocinio nel processo civile, non comporta che siano a carico dello Stato le spese che l’assistito sia condannato a pagare all'altra parte risultata vittoriosa. L’espressione “l’onorario e le spese agli avvocati” di cui all'art. 107 D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 non contempla competenze diversa da quelle dovute all'avvocato officiato dalla difesa del soggetto ammesso al beneficio, che lo Stato, sostituendosi alla stessa parte, si impegna ad anticipare, in considerazione delle sue precarie condizioni economiche e della non manifesta infondatezza delle relative pretese.

  

Visualizza articolo completo Gratuito patrocinio spese controparte 

martedì 19 giugno 2012

Il marito tiene una condotta aggressiva e violenta nei confronti della moglie - Gli viene addebitata la separazione


Corte di Cassazione Sez. Prima Civ. - Sent. del 04.06.2012, n. 8928
Presidente Luccioli - Relatore Campanile
Svolgimento del processo
1 - Con sentenza in data 13 ottobre 2008 il Tribunale di Cagliari pronunciava la separazione personale dei coniugi F.A. e G.R. , rigettando le domande di addebito da entrambi proposte e ponendo a carico del marito un assegno mensile di Euro 400,00 a titolo di contributo per il mantenimento della F.
1.1 - La Corte di appello di Cagliari, con la decisione indicata in epigrafe, accogliendo l’impugnazione proposta in via principale dalla F. , dichiarava che la separazione era addebitabile al G., in considerazione della condotta aggressiva e violenta tenuta nei confronti della moglie. Venivano a tal fine apprezzate le risultanze emergenti da una sentenza penale pronunciata in sede di appello dallo stesso Tribunale, a seguito di impugnazione per i soli effetti civili proposta dalla F. , relativamente a un episodio lesivo verificatosi in data 3 febbraio 2003, in epoca successiva all’instaurazione del giudizio di separazione. Da tale decisione, passata in giudicato, la corte distrettuale desumeva altresì, sulla base di specifici riferimenti a ulteriori episodi riferiti da testimoni, che l’evento lesivo per il quale la F. aveva proposto querela si inseriva in una condotta del marito tenuta tanto in precedenza quanto in epoca successiva, così da ritenere provata, stante la sua gravità e la sua incomparabilità con la condotta tenuta dalla moglie, una violazione della dignità e dell’integrità fisica della coniuge, tale da imporre la pronuncia di addebito.
1.2 - Per la cassazione di tale decisione il G. propone ricorso, affidato a quattro motivi, illustrati da memoria, cui la F. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
2. - Con il primo motivo di ricorso si deduce insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., per aver la Corte territoriale valutato un episodio (lesioni personali in danno della F. , per le quali era stata emessa sentenza di condanna dal Tribunale di Cagliari in data 28 aprile 2009) verificatosi in un momento successivo alla cessazione della convivenza e per aver erroneamente affermato, senza il supporto di idonee risultanze probatorie, l’esistenza, anche per il periodo anteriore, di comportamenti del G. lesivi della dignità e dell’integrità fisica della moglie.
2.1 - Con il secondo motivo si lamenta omessa motivazione in merito a un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendosi che la sentenza impugnata non avrebbe considerato, nella loro complessiva portata, le dichiarazioni rese da tre testimoni, come riportate nella sentenza penale di condanna del G. per le ragioni sopra indicate.
2.2 - Con il terzo motivo si denuncia insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., per aver la Corte territoriale, in assenza di adeguata dimostrazione, affermata la ricorrenza di un nesso eziologico fra la condotta attribuita al G. e l’intollerabilità della convivenza.
2.3 - Con il quarto motivo viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c.: la Corte di appello, in assenza di specifiche doglianze della F. circa l’insufficienza di idonee prove in ordine a reiterate violenze fisiche del coniuge, affermata nella decisione di primo grado, avrebbe proceduto alla rivalutazione del materiale probatorio già acquisito.
3 - Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
4 - Ragioni di evidente priorità sul piano logico - giuridico impongono l’esame preliminare della questione di rito introdotta con l’ultimo motivo di ricorso. La doglianza è assolutamente priva di pregio, in quanto il ricorrente traspone sul piano della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (i cui principi sono stati rispettati dalla corte di appello, che si è pronunciata in merito all’addebito della separazione in virtù di motivo di gravame specificamente dedotto dalla F. ), i temi inerenti alla valutazione del materiale probatorio. Con riferimento a tale aspetto, deve ribadirsi che il giudice di appello, pur in mancanza di specifiche deduzioni sul punto, deve valutare tutti gli elementi di prova acquisiti, quand’anche non presi in considerazione dal giudice di primo grado, poiché in materia di prova vige il principio di acquisizione processuale, secondo il quale le risultanze istruttorie comunque ottenute, e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale siano formate, concorrono tutte indistintamente alla formazione del convincimento del giudice (Cass., 12 luglio 2011, n. 15300; Cass., 16 aprile 2008, n. 9917; Cass., 12 settembre 2003, n. 13430).
5 - I primi tre motivi, in quanto strettamente correlati, possono essere congiuntamente esaminati. Le censure sono in parte inammissibili, ed in parte infondate. Ed invero, da un lato, pur denunciandosi vizi motivazionali, si tenta di introdurre valutazioni di merito, diverse da quelle compiute dalla corte territoriale, e, dall’altro, si censurano in maniera atomistica le risultanze probatorie analizzate nell’impugnata decisione, proponendosi una loro lettura in maniera conforme alle proprie prospettazioni, senza considerare, nel loro complesso, le argomentazioni della corte territoriale, che appaiono immuni da vizi logici.
Non può dubitarsi, infatti, della possibilità di inferire, sulla base di un comprovato episodio di violenza (quale quello accertato in sede penale e non contestato neppure dal ricorrente), la veridicità della denuncia di precedenti comportamenti analoghi, verificatisi all’interno della mura domestiche (cfr., in motivazione, Cass., 14 gennaio 2011, n. 817). La corte territoriale ha per altro fatto applicazione, opportunamente richiamandolo, del principio già affermato da questa Corte, secondo cui la condotta tenuta da uno dei coniugi dopo la separazione e in prossimità di essa, se pure priva di efficacia autonoma nel determinare l’intollerabilità della convivenza, può comunque essere valutata dal giudice, quale elemento alla luce del quale valutare la condotta pregressa ai fini del giudizio di addebitabilità (Cass., 2 settembre 2005, n. 177810).
Del resto la condotta prevaricatrice e aggressiva del G. , durante la convivenza, è stata congruamente desunta dalla sentenza penale con cui costui era stato considerato responsabile in merito al reato di lesioni in danno della moglie, nella quale si dava atto del fatto che “la F. si vide costretta ad abbandonare nottetempo il domicilio coniugale per chiedere aiuto ed ospitalità a una vicina di casa”, nonché “delle frequenti aggressioni fisiche da parte del marito”, tali da ingenerare nella donna uno stato di timore costante, desunto dalla richiesta rivolta al teste M. di scortarla fino a casa, perché aveva paura di andarci da sola. La corte territoriale, utilizzando legittimamente come fonte del proprio convincimento, in forza del principio dell’unità della giurisdizione, le prove raccolte nel menzionato giudizio penale, ricavandoli dalla sentenza quel processo, e fornendo al riguardo idonea motivazione (Cass., 2 marzo 2009, n. 5009), ha poi proceduto, al lume di tali risultanze, a una rivisitazione degli elementi acquisiti in primo grado, esprimendo un giudizio di attendibilità, in base alla proclività alla violenza del G. lumeggiata nella citata sentenza penale, dei reiterati episodi denunciati dalla F. anche con riferimento al periodo anteriore all’interruzione della convivenza.
6 - A fronte della dimostrata condotta violenta del ricorrente, per altro reiterata nel tempo, correttamente è stata accolta la domanda di addebito proposta dalla F. , venendo in considerazione violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore di esse, e da esonerare il giudice del merito, che abbia accertato siffatti comportamenti, dal dovere di comparare con essi, ai fini dell’adozione delle relative pronunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze. Infatti tali gravi condotte lesive, traducendosi nell’aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, quali l’incolumità e l’integrità fisica, morale e sociale dell’altro coniuge, ed oltrepassando quella soglia minima di solidarietà e di rispetto comunque necessaria e doverosa per la personalità del partner, sono insuscettibili di essere giustificate come ritorsione e reazione al comportamento di quest’ultimo e si sottraggono anche alla comparazione con tale comportamento, la quale non può costituire un mezzo per escludere l’addebitabilità nei confronti del coniuge che quei fatti ha posto in essere (Cass., 7 aprile 2005, n. 7321; Cass., 14 aprile 2011, n. 8548).
7. - Al rigetto dell’impugnazione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese relative al presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controparte, delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.
Depositata in Cancelleria il 04.06.2012

DIRITTI E DOVERI COSTITUZIONALI


giovedì 14 giugno 2012

USUFRUTTO



L’usufrutto è un diritto che consiste nel poter godere di un bene, e dei relativi redditi, di proprietà altrui.Ma con una limitazione, importante e fondamentale: il divieto di alterare la destinazione economica della cosa stessa. Ad esempio, se l'usufrutto ha per oggetto un'area, l'usufruttuario non può costruirvi, oppure trasformare un frutteto in orto, o un giardino in parcheggio.Al proprietario del bene resta solo la nuda proprietà. Cioè la proprietà spogliata del potere di trarre utilità dalla cosa. LIMITI MASSIMI DI DURATAUna caratteristica essenziale dell'usufrutto è la durata. Il diritto di usufrutto è sempre temporaneo.L'usufrutto deve essere costituito per un tempo determinato, nel caso non venga pattuito nulla a riguardo, la durata non può eccedere la vita dell’usufruttuario. La morte dell'usufruttuario pone fine all'usufrutto, anche se non è stata raggiunta l'eventuale datata di scadenza prevista.Se il diritto di usufrutto spetta a più persone e una di queste muore, il diritto si concentra in capo ai superstiti.Se usufruttuaria è una persona giuridica, il limite massimo di durata è invece di 30 anni.
DIRITTI DELL’USUFRUTTUARIO
L’usufruttuario:


può disporre del suo diritto, può cioè cederlo, dare in locazione il bene, e concedere ipoteca su di esso;
ha il diritto di avere il possesso del bene in usufrutto;

ha il diritto di conseguire i frutti (naturali e civili).




OBBLIGHI DELL’USUFRUTTUARIO
L’usufruttuario:


deve restituire il bene al termine del suo diritto (alla scadenza o alla morte);
deve usare il bene con la diligenza del buon padre di famiglia;

deve fare l’inventario, salvo dispensa;
deve prestare garanzia, salvo dispensa;
deve affrontare le spese ordinarie per l’amministrazione, manutenzione e custodia del bene. Pagare le imposte e canoni, rendite fondiarie e altri pesi che gravano sul reddito.

L'art. 1004 del codice civile dispone che sono a carico dell'usufruttuario le spese e, in genere, gli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria della cosa. Esempi di riparazioni ordinarie sono:il ripristino dell’intonaco la verniciatura di porte e finestre la tinteggiatura delle pareti la sostituzione di singole tegole o di singoli gradini la sostituzione di singole porte o finestre il ripristino delle coperture impermeabili dei terrazzi.
PER SAPERNE DI Più




































LA SEPARAZIONE



Con la separazione legale i coniugi non pongono fine al rapporto matrimoniale, ma ne sospendono gli effetti nell'attesa o di una riconciliazione o di un provvedimento di divorzio. La separazione può essere legale (consensuale o giudiziale) o semplicemente "di fatto", cioè conseguente all'allontanamento di uno dei coniugi per volontà unilaterale, o per accordo, ma senza l'intervento di un Giudice.
La separazione legale (consensuale o giudiziale) rappresenta una delle condizioni (la più frequente) per poter addivenire al divorzio.
L'ordinamento riconosce la separazione legale, nelle due forme della separazione giudiziale e consensuale. Qualunque sia il tipo di separazione attuato, il nostro legislatore sottopone la separazione dei coniugi ad un controllo non puramente formale degli organi giurisdizionali, riconoscendo effetti ad uno stato di separazione solo a seguito dell'intervento del giudice.
Il giudice della separazione è competente a statuire sui seguenti punti:
Affidamento dei figli e modalità di frequentazione del coniuge non affidatario.
Assegnazione della casa coniugale.
Determinazione dell'ammontare dell'assegno per il mantenimento dei figli.
Determinazione dell'ammontare dell'eventuale assegno per il mantenimento dell'altro coniuge.
 



La separazione consensuale è la separazione personale che ha titolo nell'accordo dei coniugi omologato dal giudice. La domanda, proposta da entrambi i coniugi anche senza l'assistenza del difensore, ha la forma del ricorso diretto al Tribunale, competente per territorio.
Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria del Tribunale e deve essere corredato dal certificato di matrimonio rilasciato dal Comune in cui è stato celebrato il matrimonio; stato di famiglia dei due coniugi e certificato di residenza dei due coniugi.
Il Presidente della Sezione fissa un'udienza per la comparizione degli stessi davanti a sé, allo scopo di sentirli e tentare di conciliarli. La separazione consensuale acquista efficacia con la omologazione del Tribunale, che provvede in camera di consiglio.
L'omologazione consiste in un controllo sulla legittimità degli accordi raggiunti dai coniugi.
Il verbale di separazione omologato potrà essere modificato anche su istanza di uno solo dei coniugi al verificarsi di eventi modificativi della situazione di fatto, esistente al momento della separazione.
Se i coniugi si riconciliano, col solo fatto del ritorno alla coabitazione, fanno cessare gli effetti della separazione senza necessità di intervento della autorità giudiziaria.
 



La separazione giudiziale è la separazione personale che ha titolo nella sentenza del
giudice e a cui si ricorre quando non si raggiunge un accordo per depositare un ricorso per separazione consensuale.
La separazione giudiziale è un procedimento contenzioso che si conclude con sentenza a seguito dello svolgimento di un ordinario giudizio di cognizione comprendente due fasi distinte: una c. d. " presidenziale ", ed un'altra " contenziosa " innanzi al giudice designato (giudice istruttore e Collegio).
La causa di separazione giudiziale viene promossa da uno solo dei due coniugi che deve necessariamente essere assistito da un difensore. La domanda si propone con ricorso e viene fissata l'udienza dinanzi al Presidente del Tribunale che anche in questo caso tenterà la conciliazione dei coniugi.
In qualunque momento la separazione giudiziale potrà essere trasformata in separazione consensuale.
Se il coniuge convenuto non compare alla prima udienza o la conciliazione non riesce, il Presidente emana - con ordinanza - i provvedimenti temporanei ed urgenti che reputa opportuni nell'interesse dei coniugi e della prole, nomina il giudice istruttore e fissa l'udienza di comparizione davanti a questo.
Dopo l'emissione dei provvedimenti temporanei ed urgenti di competenza del Presidente, il giudizio di separazione prosegue con le forme dell'ordinario giudizio di cognizione davanti al giudice istruttore designato.
Le parti hanno quindi l'onere di costituirsi, depositando propria comparsa e documenti nel fascicolo d'ufficio che si trova in Cancelleria ed il giudizio si svolge secondo le regole ordinarie per concludersi con una normale sentenza.
La sentenza che pronuncia la separazione forma cosa giudicata ma è soggetta alla clausola "rebus sic stantibus" e pertanto ciascun coniuge potrà chiederne la modifica al mutare delle situazioni di fatto.
Se i coniugi si riconciliano, col solo fatto del ritorno alla coabitazione, fanno cessare gli effetti della sentenza senza necessità di intervento della autorità giudiziaria. 

lunedì 11 giugno 2012

FRASI


GUIDA IRPEF



L’Irpef 2012 è un’Imposta sui redditi delle persone fisiche, che la riforma del 2003 ne aveva modificato il nome con IRE, ovvero, Imposta sul Reddito di fatto però il cambiamento non è mai diventato effettivo e ancora oggi sia su documenti ufficiali compresi i modelli di dichiarazione come il Modello 730 o Unico, continuano a contenere la parola IRPEF. Inoltre, è rilevante ricordare che con la Manovra Monti, il Decreto Salva Italia, lo Stato abbia deciso di non modificare le addizionali e aliquote IRPEF 2012.


Cos’è l’IRPEF?

L’Irpef è un’imposta sul reddito dovuta dalle persone fisiche e varia e aumenta proporzionalmente al crescere del reddito imponibile del contribuente. Per effettuare il calcolo dell’Irpef annuale, l’Agenzia delle Entrate fissa determinate aliquote diverse a seconda dello scaglione in cui si colloca il reddito del persona.

Quando non è dovuta l’Irpef? Redditi esenti:

 L’Irpef non è dovuta dai contribuenti il cui reddito complessivo è composto da:
  • redditi di pensione fino a 7.500 euro (7.750 euro per i contribuenti di età pari o superiore a 75 anni), se goduti per l’intero anno 
  • redditi di lavoro dipendente o assimilato fino a 8.000 euro (per un periodo di lavoro non inferiore a 365 giorni) 
  • redditi di pensione fino a 7.500 euro, goduti per l’intero anno, redditi di terreni per un importo non superiore a 185,92 euro e reddito dell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale e delle relative pertinenze
  • redditi di terreni per un importo non superiore a 185,92 euro
  • rendita catastale dell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale e delle relative pertinenze
  •  
  • redditi dominicali dei terreni, redditi agrari e redditi dei fabbricati per un importo complessivo non superiore a 500 euro 
  • compensi derivanti da attività sportive dilettantistiche fino 7.500 euro
  • assegni periodici corrisposti dal coniuge fino a 7.500 euro
  • redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente o altri redditi per i quali la detrazione prevista non è rapportata al periodo di lavoro, fino a 4.800 euro

IRPEF



L'Agenzia delle Entrate risponde a numerosi quesiti in materia di Irpef: detrazione per interventi di recupero edilizio, detrazioni per spese sanitarie, agevolazioni in favore di disabili, detrazioni per carichi di famiglia.

Nella Circolare n. 19 del 1° giugno 2012, l'Agenzia delle Entrate ha fornito diversi chiarimenti riguardo a questioni relative all'Irpef.

La prima parte della Circolare riguarda le risposte ai quesiti in materia di detrazione d'imposta del 36 % prevista per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio abitativo. Sono trattate, tra le altre, le questioni della soppressione dell'obbligo di preventiva comunicazione al Centro Operativo di Pescara e dell'obbligo di indicazione del costo della manodopera in fattura, a seguito dell'entrata in vigore del Decreto Legge n. 70 del 13 maggio 2011; dell'esibizione della documentazione per lavori effettuati su parti comuni di edifici residenziali; della fruizione della detrazione in caso di vendita dell'immobile.

La seconda parte della Circolare è destinata alle risposte ai quesiti in materia di detrazioni per spese sanitarie.
In tale sede, è, ad esempio, riconosciuto che possono essere portate in detrazione le spese sostenute per l'acquisto di dispositivi medici, anche quando l'acquisto è effettuato in erboristeria. Inoltre, è affermato che possono essere ammesse alla detrazione d'imposta le spese sostenute per le prestazioni sanitarie rese alla persona dalle figure professionali elencate nell'articolo 3 del Decreto ministeriale del 29 marzo 2001 (professioni sanitarie riabilitative), anche in assenza di una specifica prescrizione medica. Dal documento di certificazione del corrispettivo rilasciato dal professionista sanitario dovranno risultare la figura professionale e la descrizione della prestazione sanitaria eseguita.

Ancora, secondo quanto precisato nella Circolare del 1° giugno 2012, la spesa per l'iscrizione alla palestra non può essere qualificata quale spesa sanitaria ai fini della detrazione, anche se accompagnata da un certificato medico che prescrive una specifica attività motoria.

La spesa sostenuta per l'acquisto di una macchina per ultrasuoni potrà essere oggetto di detrazione qualora dallo scontrino o dalla fattura risulti il soggetto che ha sostenuto la spesa e la descrizione del dispositivo medico acquistato e qualora il contribuente sia in grado di provare che il dispositivo medico in questione è contrassegnato dalla marcatura CE che ne attesta la conformità alla normativa europea (generalmente, è inserita dal venditore una specifica dicitura nello scontrino o nella fattura).

Inoltre, la terza parte della Circolare dell'Agenzia delle Entrate riguarda le questioni poste all'attenzione dell'Agenzia medesima in materia di agevolazioni fiscali in favore dei disabili. In questo ambito, è stato, ad esempio, chiarito che le spese sostenute per familiari portatori di handicap per la frequenza di corsi di ippoterapia e di musicoterapia finalizzati alla riabilitazione possono essere ammesse in deduzione qualora un medico ne attesti la necessità per la cura della patologia e qualora siano eseguite in centri specializzati, direttamente da personale medico o sanitario specializzato o sotto la loro direzione e responsabilità tecnica.

La quarta parte è dedicata ai quesiti, ed alle relative risposte, in materia di detrazioni per carichi di famiglia.

Infine, la quinta parte della Circolare riguarda le domande e le risposte relative ad altre questioni, come quella della detrazione degli oneri pagati in dipendenza di mutui per l'acquisto dell'abitazione principale o della deducibilità ai fini dell'Irpef dei contributi previdenziali versati attraverso i cosiddetti "voucher" per prestazioni di lavoro domestico. 



Articolo pubblicato in data 09.06.2012
a cura dell'Avv. Raffaella De Vico.