Ribadisce la prima sezione della Corte di Cassazione, con sentenza 20 giugno 2012, n. 10174, che la nuova formulazione dell'art. 155 cod. civ. nel ribadire la necessità che le decisioni di maggior interesse siano prese di comune accordo tra i genitori, inquadra tale esigenza in una disciplina improntata alla riaffermazione dei principio di pari responsabilità di questi ultimi nella cura, nell'educazione e nell'istruzione dei figli. Tale principio, valido anche per l'ipotesi in cui il giudice ritenga preferibile l'affidamento esclusivo, non può non ricevere un'applicazione particolarmente rigorosa nel caso di affidamento congiunto o condiviso, riducendosi altrimenti l'apporto di uno dei genitori ad una mera erogazione di denaro. Dunque nell'affidamento condiviso: la scelta della scuola della figlia spetta ad entrambi i coniugi
La sentenza
Cassazione 20 giugno 2012, n. 10174: i genitori devono
previamente condividere la scelta delle spese straordinarie per i figli
Cassazione 20 giugno 2012, n. 10174
Svolgimento del processo
1. — Con sentenza del 24 marzo 2005, il Tribunale di Aosta
revocò il decreto ingiuntivo emesso il 23 febbraio 2001 nei confronti di .. , e
condannò quest'ultimo al pagamento in favore di .. della somma di Euro
7.176,22, oltre interessi legali, a titolo di rimborso delle spese scolastiche
sostenute per la figlia minore S. , nonché al pagamento delle spese
processuali, ivi comprese quelle del procedimento monitorio. 2. —
L'impugnazione proposta dal C. è stata parzialmente accolta dalla Corte
d'Appello di Torino, che con sentenza del 19 dicembre 2007 ha condannato la I.
al pagamento delle spese del procedimento monitorio, disponendo la restituzione
dell'importo corrisposto a tale titolo dall'appellante, oltre interessi legali,
confermando per il resto la sentenza impugnata, e condannando il C. al
pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
Premesso che con sentenza del 31 maggio 1989 il Tribunale di
Torino, nel pronunciare il divorzio tra le parti, aveva disposto l'affidamento
congiunto della figlia ad entrambi i genitori, ponendo a carico del .. un
assegno mensile di Lire 200.000 a titolo di contributo per il mantenimento,
l'educazione e l'istruzione della minore, nonché l'obbligo di provvedere a
tutte le spese di abbigliamento, medico-dentistiche e scolastiche, senza
imporre a tal fine alcun previo concerto tra i genitori, la Corte ha rilevato
che l'appellante non aveva fornito alcuna prova della sua contrarietà alle
scelte scolastiche compiute dalla figlia, che aveva deciso di frequentare un
istituto privato, essendo emerso soltanto il suo disappunto, mai
concretizzatosi in un effettivo contrasto o nel ricorso al giudice.
Preso atto, inoltre, dell'avvenuta revoca del decreto
ingiuntivo, dovuta al riconoscimento soltanto parziale della somma richiesta
nel procedimento monitorio. la Corte ha ritenuto che le relative spese
dovessero restare a carico della I. , condannandola a restituire l'importo
pagato a tale titolo dal ... in esecuzione della sentenza di primo grado.
3. — Avverso la predetta sentenza il C. propone ricorso per
cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. La I.
resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. — Con il primo motivo d'impugnazione, il ricorrente
denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 147, 148, 155, 316,
317, 1362, 2697 e 2909 cod. civ., degli artt. 112, 113, 115, 116 e 324 cod.
proc. civ. e dell'art. 6 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, osservando che a
fondamento della decisione la Corte d'Appello si è limitata a richiamare il
principio, non pertinente, secondo cui l'affidamento congiunto non implica
l'obbligo di entrambi i genitori di contribuire in misura paritaria al
mantenimento del figlio, senza considerare che le decisioni di maggiore
importanza, tra le quali va indubbiamente annoverata la scelta del tipo di
scuola, debbono essere assunte di comune accordo tra i genitori. La sentenza
impugnata ha omesso di pronunciare in ordine all'interpretazione della sentenza
di divorzio, nella parte in cui poneva le spese scolastiche “direttamente” a
carico del padre, conformemente all'accordo raggiunto tra le parti, astenendosi
dall'indagare la comune intenzione di queste ultime e trascurando il loro
comportamento successivo; essa ha ritenuto invece decisiva la mancata prova del
suo disaccordo in ordine alla scelta della figlia, senza tener conto che egli
ne era stato informato da quest'ultima, anziché dalla moglie, e senza neppure
spiegare il motivo per cui le spese dovevano essergli addebitate per intero,
anziché per la metà.
1.1. — Il motivo è fondato.
Com'è noto, il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo
si configura come un ordinario giudizio di cognizione, avente ad oggetto
l'accertamento non soltanto della sussistenza dei requisiti di ammissibilità e
validità del procedimento monitorio, ma anche della fondatezza della pretesa
avanzata dal ricorrente, in ordine alla quale trovano applicazione le regole
generali in tema di ripartizione dell'onere della prova; l'emissione del
decreto ingiuntivo non determina infatti alcuna inversione nella posizione
processuale delle parti, con la conseguenza che il ricorrente, pur assumendo
formalmente la veste di convenuto, dev'essere considerato attore in senso
sostanziale, ed è pertanto tenuto a fornire la prova dei fatti costitutivi del
credito fatto valere nel procedimento monitorio (cfr. tra le altre, Cass., Sez.
3, 17 2 novembre 2003, n. 17371; 3 marzo 1994, n. 2124; Cass., Sez. lav., 17
novembre 1997, n. 11417). Tale credito nella specie ha ad oggetto le spese
sostenute dalla I. per gli studi scolastici della figlia minore con lei
convivente, al cui rimborso il C. sarebbe tenuto in virtù della sentenza di
divorzio pronunciata tra le parti, con cui, nel disporsi l'affidamento
congiunto della figlia ad entrambi i genitori, fu posto a carico del
ricorrente, oltre all'obbligo di versare un assegno mensile per il mantenimento
della minore, quello di sostenere direttamente e per intero le spese di
abbigliamento, medico-dentistiche e scolastiche necessarie per la stessa.
L'individuazione del contenuto e delle modalità di adempimento di tale
obbligazione postula pertanto la ricostruzione della disciplina dei rapporti
intercorrenti tra le parti relativamente all'affidamento della prole, cosi come
consacrata nella sentenza di divorzio, la cui efficacia di giudicato, sia pure
rebus sic stantibus, se da un lato impedisce di rimettere in discussione
l'assetto d'interessi emergente dal titolo posto a fondamento della pretesa,
dall'altro non esclude la possibilità di verificarne la portata ed i limiti,
attraverso l'interpretazione delle condizioni da essa stabilite. 1.2. — Non
merita consenso, al riguardo, la tesi sostenuta dal ricorrente, secondo cui,
avendo la predetta sentenza recepito il contenuto dell'accordo intervenuto tra
i coniugi nel corso del giudizio, tale operazione ricostruttiva andrebbe
condotta in base ai criteri stabiliti dall'art. 1362 cod. civ., astenendosi
dunque da un esclusivo riferimento al senso letterale delle espressioni usate,
ed indagando invece la comune intenzione delle parti, anche alla luce del
comportamento dalle stesse tenuto successivamente alla conclusione
dell'accordo. La circostanza che, ai fini della disciplina dei rapporti tra i
coniugi e di quelli con la figlia minore, la sentenza abbia tenuto conto delle
concordi indicazioni delle parti, non consente infatti di attribuire natura
negoziale alle condizioni in essa stabilite, il cui recepimento costituisce il
risultato di un'autonoma valutazione giudiziale, soprattutto nella parte avente
ad oggetto l'affidamento della figlia e la determinazione del contributo dovuto
per il suo mantenimento, in ordine ai quali le richieste dei genitori non
assumono carattere vincolante, dovendo il Tribunale ispirarsi, nelle relative
scelte, all'esclusivo interesse della prole (cfr. Cass., Sez. 1, 17 settembre
1992. n. 10659; 11 ottobre 1978, n. 4519). La natura del giudicato, quale
regola del caso concreto, comportandone l'assimilabilità agli elementi
normativi della fattispecie, esclude peraltro la possibilità di ricorrere, ai
fini della sua interpretazione, ai criteri ermeneutici dettati per le
manifestazioni di volontà negoziale, trovando invece applicazione, in via
analogica, i principi dettati dall'art. 12 disp. prel. cod. civ., e dovendosi
quindi procedere alla ricostruzione del comando oggettivato nella sentenza
attraverso l'integrazione del dispositivo con la motivazione che lo sostiene,
avendo riguardo, ove residuino incertezze interpretative, anche alle domande
proposte dalle parti, nonché alle risultanze degli atti processuali (cfr.
Cass., Sez. Un., 9 maggio 2008, n. 11501: Cass., Sez. 2, 27 ottobre 2010, n.
21961; 18 gennaio 2007. n. 1093; Cass., Sez. 1, 7 febbraio 2007, n. 2721).
Trattandosi dell'interpretazione di una regula juris, il risultato di tale
operazione è censurabile in sede di legittimità sotto il profilo della
violazione di legge, la cui deduzione consente a questa Corte di procedere
direttamente all'individuazione della portata e dei limiti del predetto
comando, indipendentemente dall'interpretazione fornita dal giudice di merito,
orientando la sua esegesi anche alla luce della disciplina normativa del
rapporto, che costituisce pur sempre il quadro di riferimento tenuto presente
dal giudicante (cfr. Cass.. Sez. Un., 28 novembre 2007, n. 24664; Cass., Sez.
1, 5 ottobre 2009. n. 21200). 1.3. — In quest'ottica, non può non sottolinearsi
come nella specie l'obbligo di contribuire alle spese necessarie per
l'abbigliamento, l'istruzione e le cure mediche della figlia sia stato previsto
in correlazione con l'affidamento congiunto della stessa ad entrambi i
genitori, in tal modo instaurandosi tra questi ultimi un regime di necessaria
condivisione delle scelte relative all'accudimento ed all'educazione della
minore, che va oltre la mera imposizione dell'obbligo di concordare le
decisioni di maggior interesse, previsto dall'art. 6, quarto comma, della legge
n. 898 del 1970 in riferimento all'ipotesi in cui i figli siano affidati ad uno
solo dei genitori, con la connessa attribuzione di un diritto-dovere di
vigilanza al genitore non affidatario. Non appare tuttavia risolutivo, ai fini
della ricostruzione della disciplina applicabile alla fattispecie in esame, il
richiamo, contenuto nella sentenza impugnata, al principio enunciato in una
pronuncia di questa Corte, secondo cui l'affidamento congiunto, in quanto
fondato sull'esclusivo interesse del minore dal punto di vista del suo sviluppo
e del suo equilibrio psico-fisico, anche in considerazione di situazioni
socio-ambientali, nonché del perpetuarsi dello schema educativo già sperimentato
durante il matrimonio, non comporta, come conseguenza automatica, che ciascuno
dei genitori provveda, in modo diretto ed autonomo, ai bisogni dei figli, in
relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e
sociale di appartenenza, e non esclude pertanto l'obbligo del versamento di un
contributo a favore del genitore con cui i figli convivano (cfr. Cass.. Sez. 1,
18 agosto 2006, n. 18187). Tale obbligo nella specie non era in contestazione,
avuto riguardo al chiaro tenore della sentenza di divorzio, che, come si è
detto, poneva a carico del ricorrente l'obbligo di corrispondere un assegno
mensile di mantenimento, nonché di provvedere direttamente e per intero alle
spese necessarie per l'abbigliamento, l'istruzione e le cure 3
mediche necessarie per la figlia; ciò di cui si discuteva
erano invece le modalità di adempimento del contributo, avendo il C. sostenuto
che le spese di cui la I. aveva chiesto il rimborso costituivano il risultato
di una scelta alla quale egli non era stato posto in grado di partecipare, non
essendo stato preventivamente consultato in ordine alla decisione di iscrivere
la figlia ad un istituto scolastico privato, anziché a quello pubblico fino ad
allora frequentato.
Nell'esaminare quest'eccezione, la Corte territoriale non ha
tenuto conto che l'affidamento congiunto comporta l'assunzione di uguali poteri
e responsabilità da parte dei genitori, ai fini dello sviluppo psico-fisico del
figlio e della sua formazione morale e culturale, richiedendo a ciascuno di
essi un personale impegno nella realizzazione di un progetto educativo comune,
la cui elaborazione non può risolversi nella passiva acquiescenza di un
genitore alle scelte unilateralmente compiute dall'altro, ma esige una costante
e preventiva consultazione reciproca, volta ad una sollecita percezione delle
necessità del minore e all'identificazione dei mezzi più convenienti per farvi
fronte. In questo contesto, la previsione dell'obbligo di provvedere alle spese
necessarie per certi bisogni, non determinati né preventivamente determinabili
sotto il profilo quantitativo, non può assumere altro significato che quello di
un rinvio della relativa quantificazione alla concorde determinazione di
assicurare la soddisfazione di tali necessità e all'individuazione delle
risorse da destinarvi, conformemente alle finalità educative perseguite. È solo
in questo modo, d'altronde, che può essere assicurata quell'effettiva
compartecipazione alle scelte riguardanti la crescita e la formazione del
figlio in cui si sostanzia la c.d. bigenitorialità, quale principio
solennemente affermato a livello internazionale dalla Convenzione sui diritti
del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e ratificata con legge 27
maggio 1991, n. 176, che ha trovato attuazione in materia di separazione e
divorzio attraverso la legge 8 febbraio 2006, n. 54, la quale ha modificato
l'art. 155 cod. civ., introducendo l'istituto dell'affidamento condiviso.
L'inapplicabilità della relativa disciplina alla fattispecie in esame, tuttora
regolata da una sentenza emessa in data anteriore all'entrata in vigore della
predetta legge, non esclude la possibilità di desumerne elementi utili ai fini
dell'interpretazione della normativa previgente, in una prospettiva evolutiva
che tenga conto dell'indubbia comunanza di aspetti riscontrabile tra
l'affidamento congiunto e quello condiviso. Significativa, al riguardo, appare
la nuova formulazione dell'art. 155 cit., la quale, nel ribadire la necessità
che le decisioni di maggior interesse siano prese di comune accordo tra i
genitori, inquadra tale esigenza in una disciplina improntata alla
riaffermazione dei principio di pari responsabilità di questi ultimi nella
cura, nell'educazione e nell'istruzione dei figli. Tale principio, valido anche
per l'ipotesi in cui il giudice ritenga preferibile l'affidamento esclusivo,
non può non ricevere un'applicazione particolarmente rigorosa nel caso di
affidamento congiunto o condiviso, riducendosi altrimenti l'apporto di uno dei
genitori ad una mera erogazione di denaro, svincolata da qualsiasi contributo
di carattere decisionale, in contrasto con gli obiettivi di
responsabilizzazione di entrambe le figure genitoriali avuti di mira dal
legislatore attraverso la previsione di queste forme di affidamento.
1.4. — Tale prescritto coinvolgimento fa apparire inadeguata
la motivazione addotta dalla Corte d'Appello a sostegno dell'affermato obbligo
del C. di provvedere alle spese scolastiche conseguenti all'iscrizione della
figlia presso l'istituto privato, non potendo ritenersi sufficiente, ai fini
della condivisione della scelta compiuta dalla I. , il consenso postumo
ravvisato dalla sentenza impugnata nella mancata adozione da parte del
ricorrente di specifiche iniziative, anche giudiziarie, volte a contrastare la
predetta decisione. È pur vero che questa Corte, nell'includere la scelta
dell'indirizzo scolastico tra le decisioni di maggior interesse per i figli, in
ordine alle quali l'art. 6, quarto comma, della legge n. 898 del 1970, cosi
come l'art. 155, terzo comma, cod. civ., richiede il concorso di entrambi i
genitori, ha escluso che a carico del genitore convivente sia configurarle uno
specifico dovere d'informazione, ravvisabile unicamente in presenza di eventi
eccezionali ed imprevedibili, affermando che ciascun genitore è titolare di un
autonomo potere di attivarsi nei confronti dell'altro per concordarne eventuali
modalità, ed in difetto di ricorrere all'autorità giudiziaria (cfr. Cass., Sez.
1, 27 aprile 2011, n. 9376; 28 gennaio 2009, n. 2182). Questo principio, enunciato
in riferimento all'ipotesi di affidamento esclusivo, trova peraltro
giustificazione nella disciplina di tale istituto dettata dall'art. 155 cit.,
nel testo introdotto dalla legge 19 maggio 1975, n. 151, che, in quanto
articolata sulla previsione dell'esercizio esclusivo della potestà da parte del
genitore affidatario e sul riconoscimento in favore dell'altro genitore di un
diritto-dovere di vigilanza sull'istruzione e l'educazione dei figli (e per
tale aspetto superata dalle ulteriori modifiche introdotte nell'art. 155 dalla
legge n. 54 del 2006. che prevede l'esercizio della potestà da parte di
entrambi i genitori, senza distinguere tra affidamento esclusivo ed affidamento
condiviso), ha consentito di ravvisare nella mancata tempestiva adduzione di
validi motivi di dissenso da parte di quest'ultimo una forma di acquiescenza
alla decisione unilateralmente assunta dal primo (cfr. Cass.. Sez. 1, 29 maggio
1999, n. 5262). Esso non è quindi applicabile all'ipotesi di affidamento
congiunto, che, oltre ad implicare l'esercizio della potestà da parte di
entrambi i genitori, presuppone un'attiva collaborazione degli stessi 4
nell'elaborazione e la realizzazione del progetto educativo
comune, imponendo pertanto, nell'accertamento della paternità delle singole
decisioni, quanto meno di quelle più importanti, la verifica che le stesse sono
state assunte sulla base di effettive consultazioni tra i genitori, e quindi
con il consapevole contributo di ciascuno di essi.
1.5. — Non spettava d'altronde al C. l'onere di fornire la
prova del proprio dissenso dalla decisione assunta dalla I. , essendo
quest'ultima tenuta, in qualità di attrice in senso sostanziale, a dimostrare
la sussistenza dei presupposti per l'accoglimento della domanda di rimborso
delle spese anticipate, non determinandosi, per effetto dell'obbligo sancito
dalla sentenza di divorzio, alcuna inversione dell'onere probatorio, e restando
quindi a carico della controricorrente la prova di aver provveduto a consultare
preventivamente l'ex-coniuge, al fine di ottenerne il consenso all'iscrizione
della figlia presso l'istituto privato.
2. — Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l'omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui
non ha tenuto conto della circostanza che all'epoca dello scioglimento del
matrimonio e nei dieci anni successivi la minore aveva sempre frequentato la
scuola pubblica, ed ha ritenuto che egli avesse prestato il proprio consenso
alla scelta della figlia, senza verificare se la moglie lo avesse
preventivamente informato e consultato.
2.1. — La censura è inammissibile, non essendo corredata da
una sintesi conclusiva, recante la chiara indicazione dei fatti controversi e
delle ragioni per cui si afferma l'inidoneità della motivazione a reggere la
decisione adottata.
La necessità di una distinta individuazione del fatto
controverso e delle ragioni dell'inadeguatezza della motivazione, ove la
sentenza sia impugnata ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ., è infatti
connessa ad un'esigenza di chiarezza, emergente dall'art. 366-bis cod. proc.
civ., la quale impone, nella formulazione del motivo, un distinto momento di
sintesi (omologo del quesito di diritto prescritto per l'ipotesi in cui la
sentenza sia impugnata ai sensi dell'art. 360 n. 3) che circoscriva
puntualmente i limiti della critica alla motivazione in fatto, in modo da non
ingenerare incertezze in sede di valutazione della sua ammissibilità (cfr.
Cass.; Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass., Sez. 3, 18 luglio 2007. n.
16002). 3. — È invece infondato il terzo motivo, con cui il ricorrente lamenta
la violazione degli artt. 91, 115 e 116 cod. proc. civ., censurando la sentenza
impugnata nella parte in cui lo ha condannato nuovamente al pagamento delle
spese del giudizio di primo grado, da lui già corrisposte in esecuzione della
sentenza del Tribunale di Aosta.
3.1. — La riforma, totale o parziale, della sentenza di
primo grado, nella parte riguardante il merito della controversia, comporta
infatti, ai sensi dell'art. 336, primo comma, cod. proc. civ., l'automatica
caducazione della stessa anche nel capo avente ad oggetto il regolamento delle
spese processuali, imponendo al giudice di appello di procedere, anche d'ufficio,
ad una rinnovazione della relativa pronuncia (cfr. Cass., Sez. 3, 5 giugno
2007, n. 13059; Cass.. Sez. 1, 16 maggio 2006, n. 11491; Cass., Sez. lav., 18
luglio 2005. n. 15112). Tale rinnovazione deve aver luogo in base ad una
valutazione dell'esito complessivo della lite, in conseguenza della quale il
giudice di secondo grado può ben pervenire, com'è accaduto nella specie, anche
ad una decisione identica a quella risultante dalla sentenza riformata, senza
che ciò comporti una duplicazione di titoli, avuto riguardo all'intervenuta
caducazione della prima pronuncia, e dovendosi anzi ritenere che, ove nella
mancata adozione di una nuova statuizione non possa ravvisarsi un'implicita
conferma di quella di primo grado, il pagamento eventualmente già effettuato dalla
parte soccombente resterebbe privo di causa giustificatrice.
4. — La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti
segnati dal motivo accolto, con il conseguente rinvio della causa alla Corte
d'Appello di Torino, la quale provvederà, in diversa composizione, anche alla
liquidazione delle spese relative al giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara
inammissibile il secondo, rigetta il terzo, cassa la sentenza impugnata, in
relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di Appello di Torino, anche
per la liquidazione delle spese processuali.
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